Le canzoni napoletane sono un retaggio artistico-culturale che scorre nelle vene della città. Scopri la loro storia attraverso il nostro articolo!
Le origini
“Vedi Napoli e poi muori” è la lungimirante testimonianza che Goethe ha lasciato ai posteri dopo la sua visita alla città partenopea verso la fine del ‘700. Lo scrittore tedesco non avrebbe potuto descrivere meglio le sensazioni che le bellezze di Napoli suscitano per gli occhi. Tuttavia, il capoluogo campano vanta anche un affascinante retaggio canoro, le cui origini storiche si intrecciano tra folklore e cultura, fino ad ottenere una propria identità ben definita e conosciuta in tutto il mondo.
Ad oggi, con un repertorio nazional-popolare, le canzoni napoletane rappresentano la città tanto quanto la deliziosa sfogliatella e il suggestivo quartiere residenziale di Posillipo. Del resto, il popolo napoletano è conosciuto anche per la sua verve genuinamente artistica.
L’origine della canzone napoletana, infatti, per quanto incerta da un punto di vista meramente temporale, è sicuramente popolare. Già nel XIII secolo, fecero la loro comparsa i primissimi canti tradizionali. Intonate dalle massaie a lavoro alla corte di Federico II di Svevia, le canzoni in questione erano sostanzialmente preghiere rivolte al Sole affinché riuscisse ad asciugare il bucato, così da rendere il loro carico di lavoro meno pesante.
Dalla villanella alla tarantella
Storicamente, però, le prime testimonianze scritte della canzone napoletana si hanno a partire dal XV secolo, contemporaneamente con l’elevazione del dialetto napoletano a lingua ufficiale del Regno di Napoli. I primi componimenti erano canzonette e farse rappresentate a corte. Alla fine del ‘500, poi, nacque la cosiddetta villanella come componimento da uno scherma metrico fisso, interpretato interamente nella lingua del Regno. Le canzoni erano talmente apprezzate che venivano scelte per esposizioni artistiche messe in scena in tutta Europa e, per questo, conosciute all’estero come canzoni alla napoletana.
Per circa due secoli, la villanella fu la forma di componimento canoro popolareggiante tipico del Regno, fino alla comparsa di melodie dai nuovi ritmi e accompagnamenti strumentali caratteristici, come tamburelli, nacchere e mandolino, che diedero poi vita alla tarantella, intesa sia come musica che come danza.
Nasce la canzone d'autore
Fino a quel momento, i temi dei componimenti erano stati pensati per l’intrattenimento, quindi vertevano principalmente su intrecci amorosi, racconti popolari e satira. A partire dal XIX secolo, in seguito ai fatti del 1799 che portarono il popolo napoletano ad affrontare diversi scontri e lotte intestine per il controllo del Regno, la canzone napoletana perse ineluttabilmente la gioiosità e giovialità che l’aveva contraddistinta fino ad allora. Di questa epoca, infatti, ci giungono poche e frammentarie notizie dei caratteristici canti popolari. In particolare, il molo di Napoli si trasformò in un teatro naturale dove inscenare spettacoli ispirati a racconti epici, i cui canti nascevano per lo più sulla base di improvvisazioni. Dunque, nessuna testimonianza scritta.
Ciononostante, non tutto è andato perso. Nacque in quel periodo una figura molto importante per la successiva fase della storia della canzone napoletana. C’era, infatti, chi si prendeva la briga di raccogliere, appuntare e trascrivere il meglio dei canti improvvisati. Erano i cosiddetti musici ambulanti, grazie ai quali, poi, si è riusciti a non perdere capolavori di questa affascinante tradizione popolare fino al momento cruciale della nascita della primissima industria discografica.
All’epoca, il successo di una canzone si misurava con il numero di copielle vendute, ossia partiture musicali dove veniva trascritto il testo dei canti in voga nel periodo. Questi spartiti ricreati dalla premura di persone comuni verso la musica della città giocheranno un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella diffusione delle canzoni napoletane fino alla comparsa - nel secolo successivo - dei primi dischi 78 giri. Celebre è il successo della copiella di Te voglio bene assaje che riuscì a vendere una cifra impensabile per quel tempo: ben 180.000 copie. Considerando che il tetto massimo di vendita fino ad allora era stato di 10.000 copie, si può dire che, in sostanza, tutta Napoli intonava questa canzone. Non a caso, si suole identificarla come il simbolo del passaggio dalla musica napoletana popolare a quella d’autore.
Il periodo d’oro della canzone d’autore classica napoletana cominciò, poi, nel 1880 con Funiculì funiculà e proseguì fino alla prima metà del Novecento regalandoci altri grandi capolavori di fama mondiale come ’O sole mio, Torna a Surriento, ’O surdato ’nnammurato, Malafemmena, ’O sarracino e tanti altri.
Musica in viaggio: la diaspora verso le Americhe
All’esportazione delle canzoni napoletane classiche all’estero contribuirono indubbiamente le diverse ondate di emigrazione di italiani verso il continente americano che, in quasi un secolo di storia tra la seconda metà dell’800 e del ‘900, diedero vita ad una vera e propria diaspora.
Insieme a tanti sogni e speranze, nella valigia dell’italiano medio che partiva alla volta delle Americhe c’era la speranza del ritorno. Un italiano emigrato non si trasformava quasi mai in uno del posto, ma conservava e divulgava la sua italianità ovunque andasse. E, per un napoletano, quale migliore espressione di italianità se non la musica della sua città?
In tal senso, il ruolo che l’industria discografica nord-americana ebbe all’inizio del ‘900 fu fondamentale per la comunità italiana emigrata e per la sua “americanizzazione”. Rendere americani gli immigrati era molto complesso, per questo fu ben presto riconosciuta l’importanza dell’identità del popolo napoletano e del retaggio storico-culturale della sua musica.
Tu vuò fa l'americano
Tra i fautori del successo oltreoceano della canzone napoletana merita menzione Renato Carosone. Con la sua Tu vuò fa l’americano (1956), scritta dal suo fidato paroliere Nicola Salerno, è stato tra i primi ad esportare un successo della canzone napoletana negli Stati Uniti senza traduzione in inglese.
Come spiegare a un americano cosa vuol dire essere un italiano trapiantato in un altro continente?
Tu vuo' fa' l'americano
'Mericano, mericano
Ma si' nato in Italy
Vuoi atteggiarti ad americano,
ma sei nato in Italia
Attraverso i ritmi serrati e travolgenti tipici dello swing e del jazz in voga negli anni ’50, la canzone riusciva a dipingere in chiave ironica il ritratto di un giovane italiano (o meglio, napoletano) che si atteggiava a yankee, che voleva mischiarsi nella folla americana, che provava in tutti i modi a far parte di quella cultura, ma proprio non ci riusciva.
Infatti, si chiedeva Carosone nella canzone:
Comme te po' capi' chi te vo' bene
Si tu le parle miezo americano?
Quanno se fa l'ammore sott' 'a luna
Comme te vene 'ncapa 'e di' "I love you"?
Come può capirti la persona che ami,
se le parli in americano?
Come ti viene in mente di dire “I love you”
mentre fai l’amore?
Come a dire che il napoletano, quello vero, resta napoletano anche in continente straniero. Perché le parole e le melodie napoletane non seguono il vento, ma restano attaccate al proprio retaggio contro ogni pressione esterna.
Proprio ispirati da questa canzone, Vincenzo e Pasquale Anatriello, due giovani fratelli che da anni svolgono l'attività di stilisti e modellisti in calzature per aziende Italiane ed estere, fondano il marchio Natè in Italì. Il "la" , lo spunto dell'idea, è stato dato da questa famosa canzone di Renato Carosone.
I fratelli riassumono così l'inizio della lora avventura aziendale: "TU VUO' FA L'AMERICANO"...... spesso si rincorrono modelli lontani , pensando erroneamente che il diverso è quello che fa moda, che ci rende attuale, in realtà, ci allontana da noi stessi da non farci più riconoscere."
I fratelli Anatriello vogliono mettere insieme innovazione e tradizione ereditata dalla famiglia.
E continuano così: "Puntiamo sulla tradizione e l'italianità di ogni componente (dalle pelli alle fodere , dai sottopiedi alle sole, dalla manodopera all'idea che tutto genera). Mai come adesso è necessario puntare sul nostro Bel Paese non solo per essere competitivi , ma sopratutto per dimostrare che la professionalità non è improvvisazione, ma lavoro e dedizione, ricerca e sudore, ore di lavoro."
Il retaggio napoletano
La voce di Napoli ha una propria identità storica, linguistica e culturale che la rendono unica al mondo e, pur se in chiave autoironica, il capolavoro di Carosone ci dimostra che essa è pronta a difendere il suo retaggio senza remore.
La canzone napoletana e la sua affascinante melodia continuano a vivere tutt’oggi grazie a straordinari autori ed interpreti che hanno proseguito ciò che i grandi del passato hanno tramandato loro. Tra i maggiori esponenti odierni, vale la pena menzionare Eduardo Bennato, Eduardo De Crescenzo, Massimo Ranieri e Pino Daniele che ci ha lasciato sei anni fa.