Tutti conosciamo gli scavi di Pompei. Ma in quanti sono a sapere che tra i suoi resti sono state trovate anche delle pagnotte carbonizzate? Noi di Visit Italy abbiamo avuto il piacere di intervistare l'archeologa culinaria Farrell Monaco che si è occupata del caso e che ha anche provato a ricrearne la ricetta. Stiamo a scoprire cosa ci racconta e come si svolge il suo lavoro...
1. Chi sono e cosa faccio?
Sono un'archeologa culinaria canadese specializzata nel cibo romano e nella sua preparazione, tecnologie, utensili e contenitori associativi. Ho ricreato gli antichi cibi romani utilizzando testimonianze archeologiche, pittoriche e letterarie, perché credo che per capire qualcosa con così tante sfaccettature come il cibo e la sua cultura si debba scomporlo e ricomporlo. Ricreare prodotti alimentari di epoca romana mi ha permesso di capire a come i Romani avevano accesso al cibo, i metodi di distribuzione e preparazione, e come venisse consumato; se la frequenza della preparazione era per piacere o per necessità. Io credo che gli aspetti sensoriali della preparazione e del consumo del cibo romano sono importanti tanto quanto l'approvvigionamento alimentare e l'agricoltura.
Vivo a Los Angeles e sono sposata con un italiano originario di Caserta. Quando lavoro e faccio ricerche su Pompei, la mia seconda casa è Scafati. Il mio editor e partner in affari, Raffaele Cirillo, vive lì ed è l'ex direttore della casa editrice Edizioni Flavius.
Ad eccezione del 2020 che ha bloccato tutti i viaggi internazionali, ogni anno sono in Italia per lavoro e ricerca e trascorro il mio tempo tra Roma, Napoli e Scafati.
2. Su quali fonti ti sei basata per ricreare questa ricetta?
Le mie ricerche sugli alimenti romani avvengono analizzando i prodotti stessi (se ne sono rimaste prove materiali), studiandone la loro provenienza, usando altre prove, come: utensili, tecniche di cucina, affreschi, sculture, epigrafi e prove letterarie. Ho così potuto constatare non solo come ogni prodotto è stato fatto, ma anche la sua utilità ambientale e il suo significato culturale. Ho passato molto tempo ricreando gli alimenti nella maniera più autentica seguendone la loro forma e composizione originale. Per me è fondamentale comprendere pienamente tanto il processo di produzione (tempo e lavoro impiegato) quanto l'aspetto sensoriale coinvolto, come: gli effetti fisici della lavorazione, il riscaldamento, i suoni e gli odori associati, i sapori e le consistenze, ecc. Molto rivela anche la gamma di sapori che i Romani utilizzavano regolarmente.
Questa ricetta in particolare, è stata una costante della mia ricerca sull'iconica pagnotta di Panis Quadratus, del quale ne sono state estrapolate 81 solo da uno dei forni di Pompei, precisamente nella Panetteria Modestus, ritrovata dall'archeologo Giuseppe Fiorelli nel 1862. Le pagnotte sono chiamate Quadratus dal latino, siccome la loro crosta si divide in 4 o 8 spicchi, che consentono più facilmente di spezzare a mano la pagnotta prima di mangiarla.
Mentre conducevo le mie iniziali ricerche sul pane pompeiano, venni a conoscenza del fatto che una simile pagnotta di pane era stata menzionata in un'opera letteraria greca di Filostrato Il Vecchio nel I secolo. Nella sua opera, egli scrive: "Se ti interessa il pane lievitato o ad 'otto pezzi di pagnotte', sono qui vicino nel cesto - essi sono stati preparati con finocchi e prezzemolo di stagione ed anche con semi di papavero, la spezia che fa addormentare..." - Filostrato Il Vecchio, Immagini, Xenia II.26 (I sec. a.C.).
Ho realizzato che in questo testo Filostrato sembrava riferirsi alle pagnotte di Panis Quadratus, conosciute come "kodratoi" o dal greco "blōmiaioi". La testimonianza di Filostrato ha rivelato che queste contenevano ingredienti mai considerati prima durante tutte le discussioni riguardo la preparazione del pane nel periodo greco-romano, e neanche oer quanto riguarda gli ingredienti che potevano essere stati usati nelle pagnotte di pane preparate dai panettieri romani nel I sec. a Pompei, Ercolano, Roma e Ostia.
Plinio il Vecchio ci dice che "Il GIT era coltivato per essere usato dai panettieri..." - Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, XIX (I sec. a.C.). E questa è un'altra importante testimonianza che lascia dedurre che il pane romano conteneva più che di semplice grano macinato ed acqua. La lavorazione greco-romana del pane era molto più sofisticata di quella di adesso. E certe volte mi chiedo perché in confronto invece il nostro pane è tanto "banale"?!
Ha recentemente ricreato la ricetta anche per il National Geographic per la quale si principalmente orientata attraverso gli scritti di Filostrato Il Vecchio. Mentre, riguardo la ricetta più completa e gli ingredienti originariamente utilizzati, saranno approfonditi nei due prossimi articoli che pubblicherà sull'argomento.
3. Come hai analizzato i resti del pane di Pompei?
Grazie al sostegno del responsabile amministrativo e dello staff del laboratorio di restaurazione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ho potuto condurre le miei ricerche esaminando le pagnotte sotto la loro supervisione. Devo anche ringraziare per la gentilezza e il supporto la Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia. Non sono ancora autorizzata a parlare del metodo e dei risultati, perché saranno pubblicati a breve.
4. Quali sono state le maggiori difficoltà?
La maggior difficoltà nell'interpretare il cibo romano è il fatto che molti degli strumenti utilizzati per la preparazione, in particolare a Pompei ed Ercolano, non sono sopravvissuti all'eruzione del Vesuvio del 79 a.C. Quindi sta a noi riempire i punti ciechi delle documentazioni archeologiche usando prove letterarie o d'altro tipo, come sculture e affreschi. Ma anche questo presenta i suoi problemi, perché gli schiavi e i comuni romani non sono adeguatamente rappresentati nell'arte e nella letteratura romana, quindi spesso i punti ciechi posso anche aumentare quando si tratta di opere artistiche e letterarie. Questo è il motivo per cui l'archeologia sperimentale è fondamentale per il processo interpretativo. Usare vari strumenti per ricreare oggetti, strutture e cibo, permette all'archeologo di utilizzare la propria esperienza e i propri risultati come parte della propri interpretazione. Ed è molto più efficace del guardare semplicemente un oggetto in una vetrinetta.
5. In cosa il pane di Pompei è diverso dal pane di oggi? E, secondo te, qual è meglio?
A questo punto della mia ricerca, direi che gli esempi archeologici disponibili per analizzare Pompei ed Ercolano, che ricreano solo un giorno e un pochi siti, testimoniano che il pane fatto nei luoghi pubblici fosse leggermente lievitato ma abbastanza compatto e abbondante. Però non ci sono prove che suggeriscono che queste pagnotte fossero in alcun modo insipide o banali. Filostrato e Plinio ci avevano informato che l'uso di erbe e spezie nel pane greco e romano del I sec. fosse comune. Usare gli spicchi di pagnotte per immergerle nel vino, nell'olio o in entrambi, doveva essere piuttosto piacevole per papille gustative.
6. Come sei diventata un'archeologa culinaria? Quali sono le differenze con l'archeologia classica?
Ho studiato archeologia classica e sono sempre stata affascinata dai sistemi portuali e il commercio alimentare dei Romani. Tutto è iniziato con l'amore per le anfore, che poi si è tutto è riversato verso il cibo. Volevo studiare la loro cucina, preferenze e gusti, quando si mangiava: oltre al ruolo del pane nella società romana, anche le fondamenta della dieta romana e il cibo in quanto simbolo religioso e di offerta. Al giorno d'oggi, il cibo ci arriva in così tanti modi e la nostra relazione con esso ha tante sfaccettature, che va dall'approvvigionamento e sostentamento, al piacere e simbolo identitario. Il cibo è parte della nostra giornata, del nostro quotidiano, ed è parte di ciò che siamo, in quanto umani e parte rappresentante delle nostra cultura. Mi piace pensare che per i Romani non fosse diverso. Dipingevano immagini di cibo sui loro muri, proprio come noi fotografiamo il nostro pranzo e lo postiamo su Instagram. È una proiezione di ciò che siamo e di cosa aspiriamo ad essere. Il cibo è rappresentato nell'arte, nella letteratura e archeologia romana: è uno degli strumenti più preziosi che gli archeologi hanno per comprendere cosa ha plasmato l'antica Roma e il suo popolo. Ci sono anche alcuni ingredienti e pratiche della cucina italiana moderna che mostrano un certo grado di continuità dall'epoca romana ed è veramente bello da vedere. Lo dobbiamo a uomini e donne italiani che hanno mantenuto intatte e immutate molte tradizioni culinarie e di pasticceria per innumerevoli generazioni.
Farrell Monaco: altri info e contatti
Sei rimasto affascinato dalla archeologia culinaria e gli studi di Farrell Monaco?
Tra le sue altre ricerche sugli scavi di Pompei, si è anche occupata di quelli riguardanti il termopolio e su quella che era la sua utilizzata.
Farrell ha in piano di tornare in Italia ad ottobre per una serie di presentazioni e workshop a Pompei e Napoli.
Se poi hai deciso di ricreare anche tu l'antica ricetta del pane, ti invitiamo a visitare il suo blog Tavola Mediterranea, dove oltre questa ricetta ne troverai anche tante altre. Puoi anche seguirla sui profili social su Facebook, Instagram, Twitter.