L'olio d'oliva: scopriamo insieme la storia di un protagonista indiscusso della cultura gastronomica italiana, tra tradizione e innovazione.
Mediterraneo: è con questo aggettivo - dal latino “mediterraneus” - che si vezzeggia il mare che bagna le terre del sud dell’Europa.
Mediterraneo è quel caratteristico clima - caratterizzato da estati secche ed inverni miti - che abbraccia le nostre terre.
Mediterraneo è, altresì, un modo di mangiare sano ed ecologico, gustoso e piacevole.
È nella dieta mediterranea, patrimonio dell’umanità, che si trovano, incastrate ed ingarbugliate, le radici della tradizione gastronomica della nostra penisola ed i succosi frutti di un’inesauribile ricerca.
Ingredienti e ricette tipiche delle coste bagnate dal “Mare Nostrum” hanno circumnavigato il mondo, arrivando sotto la lente d’ingrandimento di esperti, che ne hanno studiato le peculiarità.
La tradizione alimentare tipica delle zone interessate dal clima mediterraneo si basa su pochi alimenti - che nascono in questi luoghi e di questi stessi vestono le cicatrici.
È singolare quanto, nella frenetica ricerca di nuovi stili di vita, la dieta mediterranea resti un lento pilastro; questo modo d’alimentarsi ed acculturarsi attraverso il cibo, difatti, è sopravvissuto, nonostante i grandi mutamenti che hanno sconvolto le nostre tavole, dal dopo guerra in poi.
Di bocca in bocca si è tramandato il più potente medicamento che conosciamo: la corretta alimentazione, ancor oggi illustrata attraverso una celebre piramide alimentare, consta di tutti quei cibi tipici delle nostre fertili terre.
L’olio d’oliva, il vino, il pane, la pasta, i legumi secchi, la frutta, gli agrumi e gli ortaggi (e la fusione e gli abbonamenti di quest’ultimi tutti) hanno egemonizzato i meravigliosi ricettari dattiloscritti delle nostre nonne, donandoci quell’indelebile immaginario d’abbondanza che caratterizza le famiglie e le case italiane.
L'olio d'oliva nella cultura enogastronomica italiana
L'olio ed il pane
La cultura enogastronomica italiana ci parla di grani e vini, oli.
Questi tre elementi, da millenni, si fondono nella celebrazione del gusto.
Su questo immenso palcoscenico, dove vediamo celebrarsi annate di lentezza in calici luccicanti e piatti candidi, tra pani variamente lievitati e cotti, dimentichiamo il valore immenso che ogni nostra pietanza acquisisce grazie all’olio d’oliva.
Di olio d’oliva italiano, tuttora, si discute troppo poco; le olive, difatti, racchiudono la storia del nostro territorio - tanto quanto le uve. Poco, però, ci si dedica alla divulgazione di quanto caratterizzi questo “nobil grasso” - tutt’altro che mero condimento.
Cenni di storia dell'olio d'oliva
Le olive, in un fotogramma
La storia dell’olio d’oliva è antichissima; le prime testimonianze dei multipli impieghi di quest’oro verde risalgono al 4000 a.C.
Dapprima usato come unguento ed antibatterico, poi come sapone e condimento, l’olio d’oliva compie lunghi viaggi - dall’Asia Minore alla Grecia sino a giungere, poi, in Italia nel 1000 a.C.
L’ulivo, dunque, cammina al passo con l’uomo da millenni; secondo alcune fonti, l’Olea europaea sarebbe la prima pianta addomesticata dall’uomo. Ci pervengono testimonianze della lavorazione delle olive da scrittori latini che si sono occupati di agricoltura; tra questi, Columella descrive il frantoio romano.
Tuttavia, sono fittissime le zone d’ombra che caratterizzano la lunga storia dell’olio d’oliva: le coltivazioni sono spesso abbandonante nei momenti di crisi ed il commercio dell’olio d’oliva italiano subisce dei forti cali in vari momenti della storia.
Oggi si sa molto della storia dell’olivicoltura grazie all’immenso lavoro di studio e bonifica dei territori paludosi compiuto dalle comunità monastiche nel Medioevo.
Cinque caratteristiche di un buon olio d’oliva
L'olio EVO ed il suo profumo caratteristico
Dinanzi a scaffali ricolmi di bottiglie d’ogni tipo, siamo spesso confusi e disorientati nella scelta di un buon olio d’oliva. Eppure, vi sono vari parametri che ci permettono di classificare un buon olio d’oliva; di seguito, ne abbiamo elencati alcuni, ovvero, i più determinanti.
1. L'acidità
La quantità di acidi grassi liberi determina l’acidità dell’olio d’oliva, un attributo che ne caratterizza la qualità visceralmente. Un olio d’oliva con una bassissima percentuale di acidi grassi liberi, difatti, è pregiatissimo. Al contrario, un’alta percentuale di acidi grassi liberi indica un olio compromesso, povero e per nulla pregiato. Minore è l'acidità, migliore è la qualità dell'olio.
2. La densità ed il corpo
Un buon olio d’oliva extravergine ha un grado di densità e corposità medio. Questa caratteristica viene spesso osservata facendo scorrere l’olio su un cucchiaio, osservandolo in contro luce.
3. Il sapore
L’olio extravergine d’oliva deve essere leggermente amaro e un po’ piccante. Vi sono poi i sentori, il retrogusto, gli aromi che danno la percezione di un fruttato - che varia a seconda della maturazione delle olive, delle selezioni, delle cultivar e dei blend. Il sapore può essere fruttato, amaro, piccante, dolce, rotondo e armonico. Per degustare al meglio l’olio, e carpirne i segreti più intimi, bisogna tenerlo in bocca, tra lingua e palato, per almeno 30 secondi - così da avere la completa percezione di tutti i sapori caratteristici di questo.
4. L’odore
L’olio extravergine di oliva ha un sapore fresco, capace di portarci alla mente l’odore di erba tagliata, o quasi: deve, inoltre, avere il caratteristico profumo di olive fresche. Possiamo sentire il profumo dell’olio, più o meno pungente, tenendo il bicchiere d’assaggio tra le labbra ed il mento.
5. Il colore
Il ventaglio di colori in cui deve rimanere il nostro olio EVO va dal giallo paglierino al verde brillante. Il colore dell’olio varia a seconda dello stato di maturazione dell’oliva raccolta: quando l’oliva raccolta presenta un colore verde, l’olio sarà maggiormente tendente ad assumere una colorazione verdastra. Se l’oliva raccolta è molto scura, o nera, il suo olio avrà un colore giallo, molto caratteristico. L’olio extravergine di alta qualità, derivante da olive a perfetta maturazione, assume venature e tonalità violacee. È da quest’oliva che si ottiene un olio pregiatissimo - caratterizzato da un color giallo oro brillante e dal sentore fruttato. Il pizzicore di quest’olio è unico e rende identificabile la qualità dell’olio al palato stesso.
Le varie tipologie d'olio d'oliva
Un'oliva tra le mani di Leri, coltivatrice che abbiamo intervistato
Vi sono diverse tipologie d’olio d’oliva, classificate dal Regolamento europeo (1989/2003); le categorie, elencate di seguito, sono discriminate in base alle caratteristiche chimiche, fisiche ed organolettiche delle olive e degli oli e, ancora, in base al loro processo di lavorazione.
Le caratteristiche poc’anzi riportate, costituiscono un importante serbatoio dal quale attingere nella scelta dell’olio d’oliva perfetto per i nostri palati e per la preparazione delle nostre pietanze.
- L’olio extravergine di oliva è ottenuto dalla spremitura delle olive con processi meccanici o fisici. Non è interessato da alcuna manipolazione chimica. La sua acidità oleica libera non è superiore allo 0,8%.
- L’olio di oliva vergine s’ottiene dalla spremitura delle olive con processi meccanici o fisici, senza manipolazione chimica. È un olio qualitativamente inferiore all’olio extravergine di oliva. La sua acidità oleica libera non è superiore all’1%.
- L’olio di oliva è un miscuglio dato dall’olio d’oliva vergine e l’olio d’oliva raffinato. La sua acidità oleica libera non è superiore all’1%.
- L’olio di sansa di oliva è composto da oli provenienti dal trattamento della sansa di oliva, ovvero i residui della lavorazione delle olive (buccia, polpa e nocciolo schiacciato) e da oli provenienti da altre olive. La sua acidità oleica libera limite è dell’1%
- L’olio lampante è, infine, un olio non commercializzabile né vendibile dati i difetti organolettici gravi che presenta. La sua acidità oleica libera supera il 2%.
L'olio EVO
L'olio EVO, fotografato in campagna
Quando parliamo d’olio EVO ci riferiamo indubbiamente all’olio extravergine d’oliva, ottenuto dalla spremitura di olive sane, che non hanno mai toccato terra.
L’olio d’oliva extravergine si ricava attraverso l’utilizzo di adeguati e specifici supporti meccanici e non è sottoposto a trattamenti chimici o aggiunta di additivi.
L’olio EVO è un olio pregiatissimo, data anche la sua bassissima percentuale di acidi grassi liberi.
L’acidità dell’olio d’oliva, infatti, determina la ricchezza dello stesso.
L’olio extravergine di oliva, cardine della dieta mediterranea, è considerato da sempre un vero e proprio medicamento naturale, un farmaco.
La sua composizione chimica ha effetti benefici sulla salute, andando a prevenire e curare diverse patologie e malattie, tra le quali il diabete. Infine, tra le ultime ricerche scientifiche, uno studio di “Chemical Neuroscience” ha stabilito che l’oleocantale - una sostanza contenuta nell’olio, colpevole del celebre pizzicore all’assaggio - riduca l’insorgere dell’Alzheimer.
Le cultivar in Italia ed il pregiatissimo olio d’oliva italiano
Un uliveto italiano, fotografato al tramonto
Una cultivar è una varietà agraria di una determinata specie botanica.
In Italia, le varietà olivicole sono oltre 500, tra le quali Leccino, Frantoio, Moraiolo, Biancolilla, Coratina, Ogliarola, Moresca, Casaliva, Nocellara e molte altre.
La produzione mondiale d’olio extravergine d’oliva si concentra nel bacino del Mar Mediterraneo.
L’Italia è il secondo produttore al mondo d’olio d’oliva, seconda solamente alla Spagna.
Gli italiani sono i primi consumatori al mondo d’olio extravergine d’oliva – grasso che vede gradualmente crescere il proprio consumo anche nel resto del mondo, anno dopo anno.
Con ridondanza ritorna il discorso della qualità italiana, che vede il nostro paese in cima, tra tutti i produttori europei d’olio extravergine di oliva.
Sono, ormai, più di 45 i marchi a denominazione riconosciuti: Terra di Bari, Toscano Igp, Val di Mazara, Umbria, Sicilia Igp, Valli Trapanesi, Colline Salernitane e molti altri ancora.
L’olivo ed il suo olio: tra tradizione e innovazione
Le olive, tra le mani di Leri, durante la raccolta
Parlare d’olio EVO e della produzione del fortunatissimo olio d’oliva italiano, tra disciplinari e marchi, è una missione tanto pesante quanto importante.
Sensibilizzare alla conoscenza del nostro patrimonio enogastronomico, rinchiuso tra le barriere semantiche e concettuali di vini e piatti saporiti, vuol dire anche parlare d’olio - non intendendo quest’ultimo come un accompagnatore, esclusivamente.
L’olio è, il vino si fa e, per questo motivo, è interessante parlare di una storia d’amore - quella tra l’olivo e le nostre terre - che fatica ad evolversi, prigioniera della propria stessa storia.
Generazioni a confronto
Leri ed i suoi ulivi
Il tempo è la più importante funzione qualitativa dell’olio: perdere un attimo, aspettare troppo o troppo poco, potrebbe essere fatale per il nostro prezioso olio - caratterizzato da qualità organolettiche e sensoriali uniche e ben distinguibili.
Il tempo è lo stesso parametro che dilata la distanza tra generazioni di produttori e compratori d’olio d’oliva.
“La storia del nostro olio va protetta, affinché possa tramandarsi” - dice Leri, ideatrice di “Evoleri”, una pagina di approfondimento culturale concernente proprio l’olio EVO - “credo sia necessario, però, essere consapevoli del potere immane che la ricerca ci dona, nella costruzione di una conoscenza sempre più approfondita di ciò che già è un patrimonio inestimabile.”
La giovane coltivatrice pare parlarci di un ossimoro, a tutti gli effetti: è davvero possibile proteggere una tradizione rinnovandola?
“Sì - risponde Leri, mentre gira il mondo alla scoperta di oli pregiatissimi e qualità di questi ultimi - “protezione e innovazione, per quanto concerne l’olio EVO, sono due sinonimi, per me.
Abbiamo la possibilità di capire ciò che ci passa tra le mani, grazie alla ricerca; abbiamo la preziosa possibilità di poter esaltare i gusti unici della nostra terra semplicemente controllando accuratamente le numerosissime variabili organolettici e nutrizionali che influenzano il nettare delle nostre cultivar.
L’olio è vivo.”
Rispettare i nostri ulivi
Un contadino durante la raccolta
Quella proposta da Leri, attraverso i suoi studi, è una vera e propria rivoluzione culturale, che punge le nostre menti, quanto i nostri palati.
“Siamo responsabili del rispetto delle nostre olive, ancor prima che queste vengano imbottigliate in splendide bottiglie verdastre e poi commercializzate” - riflette, ancora, la coltivatrice - “la fortuna della nostra olivicoltura dipende dalla nostra cultura, da un patrimonio che merita cura e che va condiviso con chi, sapientemente, acquista una bottiglia d’olio.”Cresciuta tra gli orti della madre, riusciamo quasi a vedere la piccola Leri accarezzare ogni foglia di qualsiasi ortaggio le capiti sotto tra le mani.
“Solo conoscendo cosa c’è nei nostri piatti, e non solo, saremo capaci di valorizzare al meglio una cultura gastronomica costruitasi quasi autonomamente. Ci pensate?” - ci domanda, versandoci l’olio appena prodotto nel suo uliveto.
“Se potessimo rendere un prodotto migliore, semplicemente adoperando la nostra consapevolezza - rendendo tutti partecipi di una missione etica e rispettosa: la conoscenza delle caratteristiche di un grasso nobile, dell’oro verde della nostra storia.”
Proteggere la nostra storia
Pane e olio
L’olivo è un patrimonio di biodiversità da preservare e difendere: tecniche antiche, saperi scientificamente inglobatisi tra loro, culture e tradizioni differenti si cristallizzano - andando a costruire il frammentato puzzle dell’olio EVO italiano.
L’olivicoltura è ancora oggi nelle mani di piccoli produttori, che s’innestano, assieme ai propri ulivi, in zone marginali.
Di generazione in generazione, i saperi si trasmettono, immutati, come compartimenti stagni, che non entrano mai in contatto con nuove ed interessanti realtà scientifiche e ricerche, con nuove frontiere di conoscenza: si sente ancora parlare di “olio” e non oli.
La mancata conoscenza di tecniche di perfezionamento della coltura e della raccolta delle olive e la carenza di comunicazione tra le generazioni rischia sempre di più di portare l’olio d’oliva in ombra, assieme alla propria tradizione siderale.
“Si ricava poco, spesso si perde, a dire il vero – afferma Leri – “quest’olio ha un enorme valore simbolico che, purtroppo, s’interfaccia con un debole valore materiale.
Ciò, tristemente, si traduce in un abbandono delle ulivete e nel crollo dei piccoli agricoltori locali.”
Ripensare la nostra cultura
Un uliveto a mezzodì
La ricerca, a braccetto con le singole e frammentate tradizioni territoriali, può risultare preziosa, ora più che mai, nella missione di valorizzazione di questo oro pizzicante.
L’olio di oliva può contribuire ad accelerare ed allargare l’agognato sviluppo territoriale delle zone rurali abbandonate.
L’incessante ricerca scientifica vuole mirare ad una realtà in cui l’olio d’oliva non sia l’ennesimo condimento, ma rappresenti, piuttosto, la carta d’identità di una tradizione in progressivo rinnovamento e capace di reali riconoscimenti.
I nostri ulivi possono sono un’importante risorsa materiale ed immateriale, tra sterminati simbolismi e realismi.
Gli uliveti italiani possono risorgere e narrare una storia inedita.
Abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale, trainata da iniziative simili a quella di “Evoleri”; che si parli d’olio come si interloquisce di vino.
Che si possegga conoscenza.