La Sardegna è un'isola che parla di magia. Un mondo antico di creature misteriose e riti arcani rivive in certi periodi dell'anno come il Carnevale. Sei pronto per un viaggio oltre l’immaginazione?
Avevamo sentito parlare di creature che, con il suono pesante di campanacci in lontananza, annunciano il loro arrivo imminente. Ci avevano raccontato più volte di come, se non crediamo nella magia, quest'isola non sia un posto per noi. Ci avevano detto che, in certe occasioni e in certi periodi dell'anno, in questa terra antica baciata dal sole e sferzata dal vento, arcane creature si risvegliano e prendono possesso dei paesi, delle città. Del tempo. È il passato che incede per le strade, è il mondo degli esseri magici di Sardegna che si riprende la sua terra e che entra sotto la pelle di chi assiste al suo risveglio. Un giorno, in un freddo pomeriggio di gennaio, tutto questo arcano mondo si è mostrato agli occhi di chi, come noi, pensava di assistere semplicemente ad una sfilata di Carnevale. Suoni sordi, movimenti pesanti, ruvide pellicce di pecora, maschere tradizionali intagliate nel legno che riproducono volti cupi e austeri. Hanno una sembianza umana… ma sono demoni? O Dei?
In Sardegna, tra gente rimasta appartata e quasi isolata dal resto del mondo, si prolunga, più che nelle altre regioni, una facoltà primitiva di mescolare la realtà alla leggenda e al sogno.
La terra magica di Barbagia e le sue maschere tradizionali
La Sardegna, nel cuore del Mediterraneo, è famosa in tutto il mondo per il suo mare di mille colori, ma la maggior parte della gente ne ignora l'essenza profonda. Questa bellissima isola custodisce un'anima antica e forte che riemerge in tutto il suo splendore quando le antiche tradizioni e credenze rivivono nelle feste popolari e in eventi come le sfilate del Carnevale di Barbagia 2024. Ogni anno il 16 gennaio, con i falò di Sant'Antonio Abate, ha inizio il Carnevale Sardo. “Su Karrasecare” (così si chiama il Carnevale in lingua sarda) ha tanti volti, ma la lotta tra uomo e natura è il tema più ricorrente e il denominatore comune è quasi sempre la lunga tradizione agropastorale.
La Barbagia, nel cuore dell’isola, è una regione montuosa dove il vento soffia sussurrando parole in una lingua antica e si insinua tra le pellicce dei figuranti che assumono le sembianze degli dei, di demoni, di creature metà uomo e metà bestia. Sulle montagne dell'Ogliastra e della Barbagia, tra le rocce che quando il sole saluta il giorno proiettano figure simili a sagome di creature strane, l'antica tradizione rurale è riportata in vita da chi perde la propria identità per un giorno per far rivivere un “qualcosa” che va ben oltre una maschera. Chi veste queste sembianze, infatti, narra di avere la sensazione di non capire più se è lui ad indossare la maschera o viceversa. Così le divinità antiche ritornano prendendo possesso del corpo dell'uomo, in un momento sacro dove la stessa vestizione è una vera cerimonia religiosa-pagana, seguita in maniera scrupolosa, vissuta come una sorta di “metamorfosi”.
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L’arrivo dei Mamuthones
Quando siamo arrivati a Mamoiada la curiosità di assistere alla sfilata dei Mamuthones era tanta. Quel giorno il Maestrale soffiava e trasportava nell'aria il chiacchiericcio della gente appostata ai bordi delle strade. Improvvisamente un suono secco di campanacci in lontananza che avanzavano all'unisono ha fatto nascere un brivido lungo la nostra schiena e ha rapito completamente l'attenzione dei presenti, come quando il primo tuono del temporale rimbomba nel cielo o l'istinto ci avvisa che qualcosa sta per accadere.
I Mamuthones sono in assoluto la più famosa delle maschere di Sardegna e il loro aspetto incute soggezione. Il loro volto è coperto da “sa visera”, maschera dalle cupe sembianze antropomorfe, mentre il corpo è vestito con pellicce nere di pecora e pesanti campanacci. L’altra anima del Carnevale mamoiadino sono gli Issohadores, agili, colorati ed eleganti, che indossano una maschera bianca in legno, il copricapo tradizionale in panno nero, giacca rossa e pantaloni bianchi. Abbiamo visto le due figure sfilare insieme per le strade del paese in due file parallele dando vita ad una dualità strana, quasi stridente. I Mamuthones sono scuri e pesanti e creano una sorta di “processione danzata” che avanza lenta e un po’ goffa. Affianco a loro, gli Issohadores corrono di qua e di là, instancabili, e lanciano “sa soha” (la loro fune) fra la gente. In tutto questo, i Mamuthones sembrano completamente assorti nel loro incedere cadenzato mentre la loro presenza cupa fa contrasto con i muri bianchi delle case.
Su Maimoni, il dio della pioggia
L’ultima cosa che ricordiamo del carnevale di Mamoiada è l’ondeggiare ipnotico dei Mamuthones e, senza accorgerci di come, ci siamo trovati a Tertenia, un piccolo centro del nuorese, mentre un’altra creatura stava per riprendere vita. In Ogliastra e in alcuni centri della Barbagia, il dio della pioggia è invocato ancora come secoli fa da un popolo che soffriva periodi di siccità tremendi, e la sua rappresentazione ricompare con nomi diversi in rituali di vari paesi. D’un tratto, mentre attendevamo impazienti, delle figure con lunghe corna e grezze pellicce hanno impresso la loro sagoma sull’orizzonte: si tratta di una divinità ricorrente nella cultura di Sardegna, Su Maimoni. Le sue maschere sfilano per le strade di Tertenia intonando: “Maimone Maimone abbacheret su laòre abbacheret su siccau, Maimone laudau!” (Maimone, Maimone chiede acqua il frumento, chiede acqua il seccato, Maimone laudato!) e altre figure fanno la loro comparsa in tutto questo, mentre il ballare lento delle maschere con il loro ritmo cadenzato cerca di propiziarsi la benevolenza della natura. Ma l’antico rito non si limitava a questo. Nei periodi di grande siccità, nel buio della notte, alcuni uomini si recavano segretamente all’ossario per prelevare dei crani in numero dispari e… Improvvisamente ci siamo trovati seduti sul letto. Il cuore che batteva, il respiro affannoso... Era stato tutto solo un sogno?
L’antica lotta tra uomo e bestia…
L’indomani era arrivato il momento di mettersi in viaggio per Fonni, paesino che sorge sulle pendici del Gennargentu, al centro dell’isola, circondato da boschi secolari. In tutti i riti della cultura agropastorale sarda è evidente come la natura sia la grande padrona della vita e della morte, e un’altra costante è la dualità inscindibile di due figure diverse che non avrebbero senso l'una senza l'altra. Urthos e Buttudos incarnano il dio dei morti e delle tenebre, i primi, e i suoi guardiani, i secondi. Lo spettacolo a cui i nostri occhi hanno assistito per le strade di Fonni è molto diverso dall’incedere ordinato e lento dei Mamuthones: qui ciò che va in scena è una dimensione legata alla terra, in un fronteggiarsi tra Uomo e Bestia, tra bene e male. I possenti e agili Urthos, ricoperti da pelli di montone, trascinavano i Buttudos, che indossano il caratteristico cappotto nero in orbace (un tessuto di lana tipico dell'isola), ed entrambe le creature hanno le braccia e il visto anneriti dalla fuliggine. Gli Urthos volevano creare scompiglio e cercavano di arrampicarsi ovunque mentre i Buttudos, tramite una grossa catena di ferro, tentavano di soggiogarli, ed è così che è iniziata una lotta senza fine, vecchia come il mondo.
Ad Ottana, proprio nel cuore della Sardegna, Boes e Merdules celebrano la divinità punico-nuragica del toro e l'uomo che cerca di domare la bestia. Queste maschere lignee mostruose ripercorrono riti agrari carichi di fatiche e di gesti legati alla tradizione di un paese di origine pastorale, facendone rivivere l’essenza e consegnandola al mito. I Boes rappresentano la forza selvaggia della natura che non segue nessuna regola umana e la loro maschera ha lunghe corna, una stella a tre punte sulla fronte e foglie verdi sulle guance; i Merdules invece sono il “volto umano della ragione” che vuole domare l’istinto animale rischiando di esserne sopraffatto. Mentre avanzavano per le strade in una lotta scomposta e a tratti comica, la Filonzana impersonifica una vecchia che li segue e si aggira tra la folla minacciando di tagliarne il filo della vita, avvolto intorno al suo fuso.
… e tra bene e male
L’ultima tappa del nostro viaggio alla scoperta delle creature del Carnevale di Sardegna è stato Orani, anch’esso in Barbagia. Qui i Bundos, da sotto la loro rossa maschera di sughero, simulano la voce del vento, come i lamenti di anime in pena. Sono una creatura dal significato ambivalente: da un lato vengono identificati con gli spiriti del raccolto e della rinascita, dall’altro con le tempeste che devastano i campi. Vestiti di orbace, neri rappresentano il male, bianchi il bene, e durante il Carnevale avanzano per le strade con il volto coperto dalla loro maschera in sughero e il forcone in mano, facendo un gran chiasso. Tra gli abitanti del luogo si narra che durante le notti di tempesta si udivano le loro voci… finché qualche giovane coraggioso non si mimetizzava tra loro per convincerli a non devastare il raccolto.
Terminati questi eventi il sole tramonta sui Mamuthones e sulle altre creature. I loro volti ambigui lasciano di nuovo spazio a sembianze umane e si torna alla vita di tutti i giorni. Quelle maschere, però, sono lì appese ai muri di tante case, come a ricordare che gli spiriti e le divinità magiche di Sardegna sono sempre presenti nell'aria, nella terra, nell'anima di questa isola tra magia e realtà e nel vento che sembra trasportare ancora il suono di campanacci in lontananza. La sera, tornando verso casa, all'improvviso un lampo ha squarciato la calma oscurità del cielo. Con il volto appoggiato al finestrino, la nostra mente viaggiava ripensando a tutto ciò che avevamo visto durante quei giorni. È stato solo un attimo, ma potremmo giurare di aver udito lo stesso lamento nella notte, lo stesso sibilo del vento. E lì abbiamo capito: era tutto vero.
Il Carnevale di Sardegna con le sue creature è stato un’esperienza indimenticabile, che ha fatto vacillare molte certezze e ci ha fatto entrare in un mondo che non conoscevamo. Cercando di comprendere quello a cui avevamo assistito, ad un certo punto una chiara sensazione si è fatta strada nella nostra mente. Sono maschere che, sì, nascondono il volto di chi le indossa, ma hanno il potere di scoprirne l’anima. Un’anima antica, forte: l’anima di Sardegna.
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