Il 12 maggio è la Giornata Internazionale dell'Infermiere e Visit Italy vuole ricordare l'enorme lavoro che tutto il personale sanitario italiano ha svolto e ancora svolge a causa dell'emergenza Covid 19. Fare della propria professione uno strumento di vicinanza al paziente è stato l'obiettivo ampiamente raggiunto dagli Infermieri italiani.
Io non mi sento un eroe, mi sento un "non disertore". Come quando uno viene chiamato alle armi. So che il lavoro che ho scelto ha in se dei rischi, oggi determinati dal COVID, in passato da qualsiasi altra malattia infettiva. Mi sento uno che è stato chiamato in prima linea e ha detto "Sono pronto".
Il 12 maggio 1820 è nata Florence Nightingale, fondatrice delle Scienze Infermieristiche Moderne. L’International Council of Nurses ricorda questa data celebrando in tutto il mondo la Giornata Internazionale dell’Infermiere.
Questa giornata è diventata un modo per parlare della professione infermieristica con i ricoverati negli ospedali, con gli utenti dei servizi territoriali, con gli anziani, con gli altri professionisti della sanità, con i giovani che devono scegliere un lavoro e con tutti coloro che nel corso della propria vita hanno incontrato o incontreranno “un infermiere”.
L'emergenza pandemica e l'infermiere
In questo tempo storico, di forte cambiamento dello stile e della qualità della vita della popolazione mondiale, dovuto alla diffusione del Covid-19, importante è il ruolo degli operatori coinvolti nell’assistenza e nella cura dei pazienti affetti da questo virus.
L’emergenza pandemica, infatti, ha evidenziato, in tutto il mondo, l’essenzialità della cura e ha riconosciuto a tali figure professionali, mai come in passato, un ruolo imprescindibile e specifico in tutti i contesti.
Gli infermieri sono stati determinanti sia in ospedale che sul territorio. Insieme ai medici e agli altri operatori in prima linea nella lotta alla pandemia, hanno dimostrato coraggio e dedizione per la loro professione, vissuta quasi come una missione al servizio della salute delle persone.
Non hanno mai mollato, nessuno si è tirato indietro, anche nei momenti più difficili, anche quando i segni delle mascherine indossate per molte ore erano evidenti e, anche quando molti di loro hanno perso la vita proprio a causa del virus contro il quale lottavano.
Alcune esperienze: Antonella Del Giacomo, infermiera presso l'INT Fondazione Pascale di Napoli
Testimone di quanto accaduto, e ancora accade, purtroppo, negli ospedali d’Italia, Antonella Del Giacomo, giovane infermiera che, allo scoppio dell’emergenza prestava servizio presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Urbino: “Non dimenticherò mai l’inizio di questa pandemia. Non dimenticherò mai gli sguardi spenti ed impauriti dei colleghi ed i miei nei primi giorni in cui l’inferno sembrava giunto in terra. I nostri occhi silenziosamente urlavano più di mille parole. Non eravamo pronti! Non ero pronta a vedere tanta sofferenza. Ho sempre avuto la grazia (non fortuna) di svolgere il mio mestiere accompagnata dalla mia profonda Fede, ma in quei giorni anche questo non mi era sufficiente per dare una spiegazione ed un senso a tutto quel dolore. Ad essere onesta, oggi tante domande sono ancora prive di risposta”.
“I primi tempi”. Ci racconta. “Svolgevamo ogni movimento maniacalmente. Indossare quella tuta da astronauta era un incubo e toglierla era ancora peggio. I dubbi a volte prendevano il sopravvento. E se sbaglio qualche movimento? E se mi contagio? E se…subito riprendevo la lucidità, perché tutti quei se erano un lusso che non potevo permettermi. Ho visto persone avere fame d’aria, ho visto persone morire da sole, ma ho anche visto persone tornare a casa con le proprie gambe. I primi dimessi, sembravano un miracolo”.
L’emergenza Covid ha richiesto, inoltre, cambiamenti rapidi anche nell’organizzazione del sistema della gestione dei pazienti e nello svolgimento dei compiti, in aggiunta alla fatica di lavorare coperti da capo a piedi dai DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), che vanno spesso cambiati e rendono affannosa la respirazione.
Gli infermieri e tutti gli altri professionisti hanno colto la sfida, ancora in corso, e la stanno portando a termine. Oltre all’aspetto tecnico, gli infermieri si sono fatti carico della sofferenza psicologica ed emotiva dei pazienti che, isolati nei reparti Covid-19 degli ospedali, o sottoposti a sorveglianza domiciliare, non potevano avere contatti con i propri cari.
Per tutto il tempo dell’emergenza, infatti, sono rimasti a fianco dei pazienti impauriti e lontani dagli affetti, anche solo con uno sguardo di speranza e di empatia al di sopra delle mascherine, sapendo conciliare professionalità e umanità della cura.
Importante, inoltre, in questi mesi, è stata, ed è ancora, la sinergia tra tutto il personale che si è trovato a sostenere questa difficile prova.
“La forza maggiore in quei momenti difficili sono stati i miei colleghi”. Afferma Antonella. “Medici ed infermieri eravamo un’unica squadra che lottava per un bene comune: la vita.”
Non banale, quindi, risulta la frase: “ L’unione fa la forza”, in quanto proprio la forte integrazione professionale è la chiave di volta per riuscire a superare la crisi e tutelare la salute dei cittadini.
Con l’affetto e la determinazione che contraddistinguono l'essere Italiani, dobbiamo sostenere ancora l’enorme lavoro che medici, infermieri e altri operatori stanno svolgendo, affinché tutto torni alla normalità, affinché l’abbraccio sostituisca il saluto a pugni chiusi, così che ritorneremo a far festa insieme e a viaggiare liberamente nella nostra amata Italia.
L'esperienza di Arcangelo Russo e Paola Poli, infermieri dell'ospedale Rizzoli di Ischia
Abbiamo intervistato anche Paola Poli, infermiera dell'Ospedale Rizzoli di Ischia.
- Come ti sei sentito quando è iniziata l'epidemia?
Quando è iniziata la pandemia ho avuto paura e un gran senso di impotenza. Avevo capito che ci aspettava un percorso lungo e difficile da attraversare e che bisognava avere tanta forza e molta resilienza.
- Come ti senti oggi?
Oggi mi sento stanca,con meno paura perché abbiamo più conoscenza rispetto ad un anno fa e più speranza visto che ci è stata data la possibilità di vaccinarci. Ma bisogna tenere sempre alta la guardia finché lentamente non ne verremo fuori tutti. Ci vuole ancora tempo.
- In cosa l'italianità degli infermieri ha fatto la differenza?
Credo che gli infermieri in italia siano preparati ma non sempre e non tutti valorizzati. Io spirito di abnegazione ha fatto si che potessimo affrontare al meglio la pandemia, ma ci vorrebbe migliore gestione delle risorse del personale. La salute è importante, ed è un diritto. Non si può sempre contare sul buon senso della classe infermieristica. È vero, è un lavoro, che però richiede grandi risorse umane. Chi lavora in ambito sanitario lavora costantemente nella sofferenza, non dimentichiamolo. Bisogna avere il tempo e la possibilità di recuperare le enegie fisiche ma soprattutto mentali. L'Italia vanta di una grande classe infermieristica.
Ad Arcangelo Russo, infermiere incaricato come responsabile nella direzione sanitaria dell'Ospedale Rizzoli di Ischia, abbiamo rivolto altre domande.
- Consideri il tuo lavoro una missione?
Questo lavoro è una missione nella misura in cui tu vuoi che lo sia. In realtà il mio lavoro non lo percepisco come tale, è una professione, la quale può essere vista come una missione, ma non lo è. Come tutte le altre professioni, dipende da come ti dedichi ad essa. io la esercito trasfondendovi il mio spirito cristiano.
- Quando è divenuta inequivocabilmente la presenza del virus sulla nostra isola?
Noi possiamo definirci precursori: il 2 marzo 2020 è stato identificato un turista bresciano positivo, ch eprotamente siamo riusciti a trasferire con una barellla da bioccontenimento e successivamente il resto del gruppo villeggiante con un autoveicolo della Croce Rossa. Probabilmente il momento, in cui ci siamo resi conto del problema sull'isola, è stato quando c'è stato il caso dell'isolano Claudio Picconi. In quelle difficili circostanze, con il paziente in rianimazione, era indispensabile capire come soccorrerelo nel modo più efficiente, anche se i medici si sentivano impreparati.
Ora quest'incubo è quasi terminato in quanto Ischia sta per completare la vaccinazione di massa e sarà a brevissimo tra le prime destinazioni covid free d'Italia con Capri e Procida.
Gli infermieri italiani hanno veramente messo cuore e dedizione in ogni loro azione ogni giorno e ogni ora della loro professione durante il periodo pandemico e continuano a farlo sia che il nemico si chiami COVID-19 sia che abbia altro nome.
Il volto di chi si cura di noi: un progetto di Riccardo Sepe Visconti
L'essere bardati e senza identità rafforzava la sensazione di solitudine nei pazienti così il giornalista Riccardo Sepe Visconti - con il supporto dell'Asl Napoli 2 Nord - ha ideato il progetto dal titolo "Il volto di chi si cura di noi".
Ecco il progetto spiegato dallo stesso Visconti: "Ho ritratto i visi di tutti coloro che - costretti ad indossare gli schermanti dispositivi di protezione contro il virus - restano di fatto nascosti sotto gli strati protettivi di tuta, maschera, casco e guanti e, dunque, non possono mostrare la loro identità ai pazienti dei quali quotidianamente si prendono cura. Spesso le barriere di protezioni sono tali da non consentire di poter capire neppure se ci si trovi al cospetto di una donna o di un uomo. E naturalmente per i pazienti, costretti a lunghi periodi di degenza, anche in isolamento, il non riuscire a riconoscere le persone - con le quali si viene a stretto contatto quotidiano - produce un certo disorientamento. Di qui l'idea di realizzare dei badge - con il volto dell'operatore sanitario - che, all'interno delle aree covid, il personale indosserà sulla propria tuta per rendersi riconoscibile, e così rimettere al proprio posto uno dei tasselli - la riconoscibilità - che la dannatissima pandemia ha violentemente danneggiato in questa sorta di puzzle fragilissimo e sbilenco che è la vita di ciascuno di noi".
E' nato così il progetto dei "badge" per riconoscere subito gli infermieri, chiamarli con i loro nomi e ricordarli per essere stati da loro curati in un momento così difficile.
Ringraziamo Cecilia D'Ambrosio e Riccardo Sepe Visconti per il contributo fotografico.
Consigliamo di visitare la loro pagina per visionare il loro brillante progetto ICity Special Health.