Abbiamo intervistato Jago, lo "scultore del presente". Ci parlato della sua arte i dei suoi luoghi del cuore in Italia, fermandoci a Napoli. 

Quando incontri Jago quello che ti colpisce è la chiarezza e la profondità. Jago, al secolo Jacopo Cardillo, classe 1987, ti parla con voce pacata e avvolgente ma i suoi pensieri sono lucidi e taglienti come lame, mai banali. Esita solo quando ti racconta di argomenti di cui non parla spesso. 

Lo chiamano lo "scultore del presente” o il “nuovo Michelangelo” e quando racconta del suo progetto artistico è un fiume in piena: entusiasta come un bambino ma pragmatico come un imprenditore. In poche battute ti fa capire che la sua visione è solo agli esordi e che la strada, sebbene sia già disseminata di successi, è appena iniziata. 

Lo incontriamo virtualmente mentre è negli Emirati Arabi per seguire una tappa del Tour Mondiale dell’Amerigo Vespucci dove è imbarcata anche la sua “David” in bronzo. La versione in marmo è esposta allo Jago Museum, lo spazio espositivo che ha aperto a nel Quartiere Sanità a Napoli nel 2023. Nel 2024 invece è uscito Jago Into the White, il docu-film che racconta i suoi esordi, presentato allo scorso Tribeca Film Festival, ma durante l’intervista ci focalizziamo su altro.

Partiamo dal suo percorso artistico, ma presto lo conduciamo altrove. Vogliamo chiedergli del suo rapporto con l’Italia e delle sue destinazioni del cuore, per provare a costruire un itinerario d’autore e farci accompagnare nei posti che ama di più, guardandoli con i suoi occhi

Ecco cosa ci ha raccontato. 

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Jago

Partiamo con il botto con una domanda semplicissima. Jago, tu chi sei? 

É la domanda più difficile, altro che semplice! Direi che chi lo sa è fortunato o è già realizzato. Io mi sento fortunato perché invece non lo so. Ma se dovessi definire chi sono, parlerei piuttosto di quello che continuo ad essere: un bambino, curioso ed entusiasta, che resiste a perpetrare un atteggiamento direi infantile verso le cose del mondo. É con questo atteggiamento che io procedo in questa vita e mando avanti tutti i miei progetti, perché sono questi due ingredienti, l'entusiasmo e la curiosità, che alimentano la creatività. Succede sovente che con il tempo questi due ingredienti si inizino a perdere, ed è lì che smettiamo di essere creativi, o pensiamo di non esserlo più, o addirittura di non esserlo mai stati. Quando invece tutti quanti possediamo questi due ingredienti e possiamo farli vivere in noi. 

Dunque, come bambino curioso, artista e scultore, hai un rapporto con il fare molto concreto, materico. Cosa stai facendo in questo momento? Come ti stai sporcando le mani ultimamente? 

I miei lavori sono molto lunghi, quindi me le sporco più o meno come me le stavo sporcando ieri. Però il mio lavoro oggi è fatto di tante cose: oltre alla creazione pura dell'opera, che è la mia responsabilità diretta, c’è tutto un mondo che partecipa al mio e nostro percorso: ci sono il museo e i suoi progetti correlati, c’è la creazione di nuovi spazi espositivi e la loro gestione, ci sono i rapporti con i nostri investitori. E poi ci sono tanti progetti in fieri, come la lavorazione di questa grande David, che nella sua versione più piccolina ha fatto già il giro del mondo con l'Amerigo Vespucci. Ora siamo qui negli Emirati Arabi anche per questo. Una cosa meravigliosa.

A proposito della grande David a cui stai lavorando. Si vocifera che sarà esposta a Napoli in sostituzione della sua gemella più piccola attualmente esposta. La potremo ammirare lì? 

Sicuramente la realizzazione è a Napoli, poi sulla sua destinazione ultima, chissà. Più che dai luoghi dipende dalle possibilità del luogo stesso di poter sopportare e ospitare adeguatamente le opera e la loro progettualità. Anche il museo… Magari ce ne saranno altri, insomma si vedrà. 

Sei un artista sospeso tra passato e futuro. Da un lato ti approcci al lavoro in un modo quasi classico, dall’altro sperimenti sia nelle tecniche sia nella fruizione delle tue opere, e ne è un esempio la scelta innovativa di creare uno spazio totalmente tuo dove apri al pubblico i tuoi lavori. Insomma la tua esperienza artistica è unica nel suo genere. A cosa serve l’arte per te oggi? 

A niente (ride). 

È una parola troppo grande per poterne riassumere il significato, le attribuiamo un senso troppo vasto. Di certo l'arte può essere un grande strumento. Nel suo utilizzo più alto può diventare un collante fra mondi lontani, può sintetizzare idee che a parole non si possono esprimere, creare unione di intenti, fare analisi di realtà in modo istantaneo. 

Quando si parla d'arte, io in realtà cerco sempre di virare su altro. Sono cresciuto in un paese - Anagni ndr- dove, quando le persone dicono che “quel ragazzo fa l'artista”, stanno in realtà dicendo “quello non sa che fare nella vita”. Allora io dico “faccio lo scultore” perché questa è una cosa che si capisce. Lo capisce mia nonna, lo capisce chiunque.

L'arte invece diventa spesso un concetto a cui si vuole attribuire a tutti i costi il dovere di salvare qualcosa. Ma dove è scritto che l'arte salverà il mondo? É il mondo che deve salvare l’arte. 

Il mondo ha la capacità di distruggere la bellezza in un secondo, semplicemente per poter fare propaganda di un pensiero. Siamo noi- gli artisti, chi si occupa di bellezza e di creatività- che abbiamo il dovere di salvare l'arte dal mondo. Se all’arte frega del mondo, questo non ci è dato saperlo e non è neanche interessante, francamente. Noi invece possiamo metterci al suo servizio, continuando a creare nonostante lo scempio che è sotto i nostri occhi. 

Dove sta scritto che l'arte salverà il mondo? Il mondo deve salvare l'arte. Siamo noi- gli artisti, chi si occupa di bellezza e di creatività- che abbiamo il dovere di salvare l'arte dal mondo.

Pietà Jago

C’è un collegamento tra il linguaggio dell’arte e il linguaggio dell’inconscio? 

Bella domanda. Sì, sicuramente c'è, sempre. L'inconscio ha la forza e il potere di manifestarsi sempre, nonostante la volontà dei singoli. Penso che tutta la nostra vita sia una manifestazione più o meno consapevole dell’inconscio. Certo se si è in comunicazione e si presta ascolto al proprio inconscio se ne trae grande vantaggio perché è un ottimo orientamento della volontà. Io tendo a dare molto valore al mio inconscio. Se ho un'idea folle e per me meravigliosa, io voglio che l'inconscio possa essere il mio miglior alleato, spingendomi ad insistere in quella direzione

Spesso però accade che la vita ci distolga da quella vocina nella nostra testa. Quando si è giovani, ad esempio, e accade di condividere le proprie idee in famiglia, è molto comune che i genitori proiettino le proprie insicurezze e che dicano: “lascia stare”. E questo continua nel contesto scolastico ed educativo, fino al punto che uno si adagia a vivere in una zona di comfort e poi quando ha una buona idea è il primo a bloccarle e a dirsi: “lascia stare”. 

Qual è il tuo rapporto con la spiritualità? É qualcosa che ti interessa?

No, sono completamente disinteressato alla spiritualità, ma ne subisco il fascino. Sono un osservatore che sta lì, senza giudizio e che si lascia attraversare da tutta la spiritualità nelle sue meravigliose diversità. Quello che mi interessa e mi riguarda è piuttosto la fede, intesa come fiducia. Perché è molto connessa con la mia capacità naturale a voler trasformare le cose che vivono nella mia immaginazione in oggetti fisici. Questo gesto di traduzione è completamente un fatto di fede. Quando hai un grande blocco di mano in fronte a te, qual è il motore che ti spinge a tirare la prima martellata vedendo solo tu, nella tua mente, cosa dovrà diventare? Se non è fede a quella… 

Qual è il tuo legame con l’Italia? 

L'Italia è stata ed è il centro dei miei interessi perché è lì che sta la mia attività artistica e imprenditoriale, anche se ormai si esprime sempre più nel mondo. 

L’Italia il luogo della mia famiglia, delle mie radici. Io ne sono innamorato e riesco ad innamorarmene sempre di più. 

Poi è anche vero che io ho un talento: riesco a sentirmi a casa ovunque sia nel mondo. Non ho mai sofferto la lontananza dell’Italia quando ho vissuto altrove. Eppure il mio rapporto con l’Italia resta speciale. Per me l’Italia è una piattaforma di bellezza. In pochissimo spazio è condensata l'eccellenza di secoli, di tradizioni che si sono mischiate tra di loro stratificandosi in luoghi e atteggiamenti e che in un modo o nell'altro continuano ad esistere, a resistere, ad emergere, nonostante tutto. 

Io oggi vivo a Napoli che è una superpotenza in fatto di identità culturale e contaminazione. Il mio rapporto anche con questa città è un rapporto d'amore e di innamoramento perpetuo. Un rapporto che ovviamente non esclude l’odio, il conflitto, la lotta. Ma alla fine sono sempre più innamorato e mi innamoro sempre di più di questa città. Sono felice di quello che stiamo costruendo. 

A proposito di Napoli. C’è un un motivo se hai scelto proprio questa città per il tuo primo museo?

Direi piuttosto il contrario, è Napoli che ha scelto me. É una frase fatta che si dice spesso, ma nel mio caso è davvero così. Iniziava tutto nel 2017, quando è nato il progetto del Figlio Velato, che oggi si trova esposto in una delle sedi del Museo, nella Chiesa di San Severo Fuori Le Mura, all’interno della Cappella dei Bianchi. All’epoca vivevo a New York, ma c'erano stati dei primi contatti con Napoli che avevo già iniziato a conoscere e frequentare, tant’è che l’opera Il Figlio Velato nasce immaginata proprio per Napoli. La inauguriamo nel 2019, ovviamente a Napoli. 

Io continuavo a vivere a New York, ma intanto il mio rapporto con Napoli si era gradualmente solidificato. Avevo già i miei interlocutori, avevo capito il potenziale di quel luogo: un acceleratore per la creatività. Così, quando nel 2020 ho deciso di rientrare in Italia, è stato naturale ricreare la connessione con gli stessi interlocutori napoletani: la Fondazione San Gennaro e poi la Cooperativa La Paranza, che oggi sono la mia famiglia sul posto. Io avevo bisogno di un laboratorio così abbiamo individuato la Chiesa di Sant’Aspreno, che all’epoca era in stato di abbandono, come un luogo chiave nel cuore del Quartiere Sanità. Da quel momento in poi ho iniziato a far confluire le opere e la mia visione in questo luogo fisico che oggi è una base per il mio lavoro, ma soprattutto è un simbolo di innovazione e rinascita. Un luogo che ha contribuito al processo di rigenerazione del quartiere, che già era in atto ma che oggi è tangibile e concreto. 

Proviamo a fare un gioco. Immaginiamo che un amico straniero ti chieda un consiglio per un viaggio in Italia. Dove gli diresti di andare? 

Non ho una risposta, è impossibile. Se prendi la mappa dell'Italia e punti il dito a caso, trovi sempre qualcosa di meraviglioso, qualcosa di storico, qualcosa di affascinante dare. Questa è la cosa incredibile dell'Italia, non lo puoi fare quasi da nessun'altra parte del mondo, tutta l'Italia è così: tutta una manifestazione di bellezza e contaminazione. Quindi non sbagli mai, questa è la verità. Poi certo abbiamo le periferie con le loro criticità, eccetera eccetera, ma c'è sempre un centro storico, ovunque. Troverai sempre qualcosa di interessante, di tradizionale e troverai qualcosa per cui vale la pena soffermarsi più di un giorno, piuttosto che essere semplicemente di passaggio. Al mio amico direi “prenditi un po' di tempo per stare in Italia, perditi anche. L’Italia è accogliente, tutta. Tutte le strade in Italia portano alla bellezza. Quindi, perditi.”

Sarebbe un bellissimo claim per una campagna! Però mettiamo che il tuo amico sia parecchio insistente. Se proprio volessi consigliargli un solo posto dal quale partire, quale sarebbe? 

Il Quartiere Sanità. Io sono stato catapultato lì, e Napoli l'ho conosciuta dalla Sanità. Per me Napoli è la Sanità. Ci ho vissuto e non sono praticamente mai uscito di lì perché non avevo bisogno di andare da nessun'altra parte: è un mondo a sé. 

Io ovviamente posso solo dare consigli, ma con un senso di accoglienza che è quello che mi è stato insegnato dalle persone che vivono quel luogo. Parlo “da adottato” e con profondo rispetto, perché non posso insegnare niente su Napoli. 

Io dico sempre che a Napoli le cose semplici sono difficili. Tipo parcheggiare una macchina: è praticamente impossibile. Però un miracolo, quello si può fare. Una cosa difficile diventa semplice. Hai un progetto? Lo puoi fare. Che ne so, vuoi spostare un po' il Vesuvio? Trovi quattro folli disposti ad aiutarti. 

Parlando sempre al tuo amico che sta arrivando in Italia, che itinerario gli consiglieresti di fare? 

Gli direi: parti da Napoli, poi passi ad Anagni, dove sono cresciuto, e vai a vedere la Cappella Sistina del Medioevo. Poi sali verso Roma e vedi la capitale. Decidi da lì se tornare a Sud o andare verso Nord. Gli direi di non perdersi una tappa in Sicilia, che è stata anche la destinazione del mio viaggio di nozze. Sono stato a Lampedusa. La Spiaggia dei Conigli è di una bellezza assoluta. Poi amo molto anche Milano, Torino, tutto il nord. È veramente imbarazzante la quantità di posti meravigliosi che vorrei citare. 

Prenditi un po' di tempo per stare in Italia, perditi anche. L’Italia è accogliente, tutta. Tutte le strade in Italia portano alla bellezza. Quindi, perditi.

Torniamo a Napoli. Ci sono dei luoghi poco conosciuti che secondo te andrebbero valorizzati e che vorresti condividere? 

Te ne dico tre, si trovano sulla strada verso il Quartiere Sanità, scendendo da Capodimonte. Sono il Cimitero delle Fontanelle, le Catacombe di San Gaudioso, e l’Ipogeo dei Cristallini. Sono tre luoghi unici e poco conosciuti che sono anche nella nostra offerta museale ( il Cimitero delle Fontanelle sarà tra poco nuovamente visitabile ndr.). Già queste tre cose per me sono per me imperdibili. 

C’è un’ esperienza autentica che hai vissuto a Napoli o nel Quartiere Sanità che ti ha fatto dire questa è una roba che non vedrò da nessun'altra parte nel mondo? 

Sì. È una cosa che racconto sempre quando mi chiedono della Pietà, che è la prima opera che ho realizzato vivendo alla Sanità. Un giorno ero a Sant'Aspreno e c’erano i lavori di ristrutturazione- e c'era la porta semichiusa. Entra una signora dello Sri Lanka- alla Sanità c'è una comunità importante dello Sri Lanka- e si avvicina all'opera, che era quasi finita. Lei si avvicina e inizia a pregare. Immaginate questa chiesa piena di calcinacci. Poi si fa il segno della croce, si bacia la mano, tocca l'opera e se ne va. Io stavo nei pressi dell'altare, eravamo un po' distanti. La vedevo, ma non sono intervenuto. Sarei potuto andare da lei e dirle che l'opera non aveva niente a che vedere con la religione, ma non l’ho fatto. Avrei perso l'opportunità di capire che la nostra opera deve poter essere anche contenitore dei significati degli altri. Questa è stata un'esperienza rivoluzionaria per me, un'epifania, perché ho compreso che il valore del gesto artistico non per forza racconta l’autore o il significato che lui intendeva dare all’opera. Quel giorno alla Sanità ho capito che se riesci a star zitto e ti metti in ascolto, rischi di imparare qualcosa. 

Secondo te qual è l’errore che si fa quando si visita Napoli? 

Fare il turista a Napoli è un grande errore. Napoli non ha bisogno di turisti. Napoli ha bisogno di persone innamorate, persone desiderose di riempirsi di bellezza, di sentirsi a casa, di godere dell'accoglienza. E poi ha bisogno di persone rispettose, soprattutto. Non ha bisogno di turisti perché vanno di corsa, vogliono fagocitare un luogo, sono distratti, anche sciatti a volte, non hanno tempo. Napoli non ha bisogno di turisti, Napoli ha bisogno di napoletani. Se vieni a Napoli devi sentirti napoletano, diventare napoletano. Devi innamorarti. Quando vieni predisponiti a questo innamoramento e tratta questa città come se fosse la tua città. Amala dal primo momento e vattene da innamorato. 

Napoli non ha bisogno di turisti. Napoli ha bisogno di persone innamorate, persone desiderose di riempirsi di bellezza, di sentirsi a casa, di godere dell'accoglienza. Se vieni a Napoli devi sentirti napoletano, diventare napoletano.

C'è secondo te a Napoli un luogo che non è un museo o un luogo d'arte istituzionale che ti ispira e che consigli di vedere? 

Via Partenope, la mattina alle 6. Ci passo tutti i giorni mentre vado a lavoro, a piedi. Sono 7 km ma li faccio con piacere. E poi l’auto a Napoli neanche se mi paghi la prendo. Ecco, se vuoi vedere una cosa bella vai all'alba su via Partenope, guarda il sole che sorge dietro al Vesuvio, che si affaccia e piano piano illumina Castel dell'Ovo e progressivamente Posillipo, e tu vieni baciato da questa prima luce. Questa è un'esperienza bellissima. 

Ultima domanda. Hai un progetto un sogno che ancora non hai realizzato o che vorresti realizzare nel futuro legato al Quartiere Sanità?

Più che sogni sono proprio progetti concreti e a lungo termine. Riguardo al Museo, il progetto è anzitutto di finire i lavori di restauro e restituire completamente all'esperienza del pubblico la chiesa e il museo riqualificato completamente, nella sua bellezza meravigliosa. 

Poi ovviamente aumentare il numero di opere, dare spazio a nuovi lavori e mandarne in giro altri per farli tornare a casa più forti. E poi far sì che il gruppo di ragazzi che oggi gestiscono il museo, La Cooperativa La Sorte, possa continuare a crescere e gemmare in altre esperienze anche fuori dal Quartiere Sanità. E poi ancora che si costituiscano altri progetti museali, che possano essere collegati tra loro. Io non do molto spazio ai sogni. Sono uno che se una cosa la vuole, la fa succedere e la realizza. I sogni non stanno bene nei cassetti. Occorre tirarli fuori. Il prima possibile. 

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